
La Grecia arriverà al livello italiano entro pochi anni, probabilmente ci supererà entro il 2012. Paesi a democrazia più recente, con minore esperienza di economia di mercato, testimoniano il fallimento italiano che nei giorni scorsi è stato descritto come «un inverno di infelicità» dal New York Times. Purtroppo non è un male di stagione. Secondo un economista americano, che ha definito «morali» le conseguenze della crescita, «una lunga tradizione democratica non è garanzia che i cittadini di un Paese che non sa più crescere non si irrigidiscano, incapaci di guardare in avanti, e non diventino preda dell’intolleranza», trasformando il proprio Paese in quella che Alexander Gerschenkron, uno dei primi teorici della crescita, definiva «una democrazia priva di democratici». C’è una storica diffidenza nei confronti dello sviluppo economico, come se ciò che materialmente accresce, moralmente impoverisse. Al contrario, tra le economie già sviluppate, sono quelle dei Paesi in cui maggiore è la libertà e più diffusa l’istruzione a prevalere anche materialmente. Gli indicatori di felicità rispettano questa regola: la Spagna sale e l’Italia è in fondo. Possiamo ancora aggrapparci all’economia sommersa, ma non potremo mai sostenere che sia una fonte di felicità o di fiducia nella collettività. La Spagna è più di altri un guanto in faccia all’Italia, perché non è un Paese che può vantare qualità tecnologica o capitale umano. Negli ultimi dieci anni la produttività spagnola è calata anziché aumentare ed è tra le più basse d’Europa, l’uso delle nuove tecnologie nelle imprese è basso e l’innovazione poco sviluppata.
Eppure la disoccupazione è scesa dal 22% all’8%, il Paese è cresciuto quest’anno il doppio dell’Italia e continuerà a farlo se la bolla immobiliare non si sgonfierà troppo violentemente. Intanto tra il 1996 e il 2006 il debito pubblico è sceso dal 70% al 40% del Pil. Lo sviluppo tardivo ha saltato l’industria e puntato sui servizi, senza dolorose trasformazioni. Tutti abbiamo in mente l’acquisto di Telecom da parte di Telefonica o il ruolo delle banche e delle imprese di costruzioni, ma l’esempio più drammatico è quello del turismo: nel ‘95 i turisti stranieri trascorrevano più giorni di vacanza in Italia che in Spagna, ma nel 2005 i pernottamenti negli hotel spagnoli erano 210mila e quelli in Italia 148mila. La differenza nei ricavi è pari al 2,3% del Pil. Sufficiente, statisticamente, a spiegare il sorpasso. Ciò che in Italia si vive come problema, in Spagna è fattore di successo. Tra il 2002 e il 2005 sono entrati ogni anno oltre mezzo milione di immigrati (dei quali l’11% romeni), l’1,3% della popolazione spagnola e oltre un terzo di tutti gli immigrati che entravano nella zona euro. L’effetto sulla crescita demografica ed economica è stato una molla allo sviluppo. Tra il 1994 e il 2006 il numero di ore lavorate in Spagna è aumentato del 50% grazie anche alla partecipazione delle donne, la cui disoccupazione in Spagna è metà di quella italiana (12,8% contro 26,1%). Tra il 1990 e il 2004 la Spagna ha avuto il più forte incremento di scolarità dei paesi Ocse. Quasi il 40% dei giovani spagnoli entra nel lavoro con una laurea, più del doppio degli italiani. L’apertura dell’economia è forse l’elemento più impressionante. L’abbattimento delle barriere necessario a partecipare all’Ue ha ispirato lo stile di business. Nel 2006 gli investimenti diretti esteri in Spagna erano pari a un terzo del Pil, tripli di quelli italiani.
Il codice fiscale molto complesso e un forte onere burocratico frenano l’attrattiva spagnola, ma una commissione per la competitività sta discutendo le riforme e nuove deregolamentazioni. L’apertura infatti consente all’economia di non soffrire dei ritardi tecnologici, che vengono compensati proprio importando tecnologia attraverso gli investimenti stranieri in Spagna. Non a caso il 13% dei giovani spagnoli si laurea in materie scientifiche o ingegneria, preparandosi a un futuro da Paese moderno.
Da la stampa web
Ora è ufficiale, ma l’economia spagnola era da alcuni anni che denotava dinamismo e modernità, una citta su tutte, Valencia, il suo porto e le sue strutture, noi al contrario abbiamo realisticamente un’imprenditoria impagliata, una politica geiatrica e un senso approssimativo di paese da parte di tutti noi, non ci si può lamentare d’avere il vertice della piramide eufemisticamente discutibile, evidentemente la base non è diffusamente migliore.
Tempi molto difficili per tutti noi.